Covema Sicilia in Forma

Covema è una storica azienda produttrice di pitture e vernici per l’edilizia con sede a Torino. La sfida lanciata agli allievi architetti del Laboratorio di disegno industriale del professor Dario Russo è ardua: tradurre, tramite il progetto, un sistema cromatico standard, ossia uno strumento operativo in grado di definire un certo numero di colori oggettivamente percepibili dall’occhio umano, in un oggetto usabile e fruibile dagli operatori di mercato, con caratteristiche specifiche per il settore di riferimento.

La sfida dunque è quella di rendere tridimensionale lo spettro cromatico, attraverso il sistema NCS (Natural Colour System), ideato e sviluppato da NCS Colour AB di Stoccolma: un sistema di ordinamento logico dei colori che si basa sul modo in cui questi sono percepiti. Esso si basa su più di 70 anni di ricerca sul colore, ed è oggi il sistema cromatico più diffuso e utilizzato da aziende e progettisti: un Universal Language of Colour che unisce i professionisti del colore di tutto il mondo. Si basa sui 6 colori fondamentali, non associabili a livello percettivo a alcun altro colore: rosso (R), giallo (Y), blu (B), verde (G), bianco (W) e nero (S). Questi sono disposti graficamente in uno spazio tridimensionale, lo spazio dei colori NCS, dov’è possibile rappresentare la relazione tra i colori in funzione della loro maggiore o minore somiglianza. Tale somiglianza, insieme alla saturazione e alla chiarezza, si traduce in un codice che identifica in modo preciso e innovativo ogni colore.

Gli allievi architetti sono entrati in questo meccanismo attraverso gli artefatti attualmente disponibili rendendosi conto di quanto questi siano di facile comprensione e gestione ma migliorabili per un utilizzo specifico. Si è chiesto loro di mperfezionare la situazione – attitudine naturale del designer – ovvero progettare uno strumento tecnico in grado di sintetizzare funzione, logica ed estetica: un oggetto dinamico, qualcosa con cui poter interagire e anche giocare, utilizzando il sistema NCS senza saperlo.

Ed è così che nascono tre oggetti innovativi, mai visti prima: Gol, Faro e Kubik. Il primo, realizzato dall’allieva madrilena Sara Gómez Perea, riesce a colpire nel segno, a fare “gol”! Si tratta di un pallone da calcio che contiene una gamma di 244 colori. Se scomponiamo un pallone da calcio otteniamo 20 esagoni e 12 pentagoni, per un totale di 32 piccole superfici che, colorate, possono contenere altrettanti piani di tinta. Immaginiamo di estrudere ogni superficie: i tronchi di piramide che otteniamo hanno 5 o 6 lati a seconda che si tratti di un pentagono o esagono e considerando anche la base superiore e inferiore arriviamo a 7 o 8 nuance per piano di tinta. La superficie superiore presenta il massimo livello di saturazione d’una data tonalità (piano di tinta), quella inferiore il minimo livello di saturazione della stessa tonalità, mentre le 6 facce laterali diversi livelli di chiarezza. Per mantenere uniti i solidi tra di loro, sono posti dei magneti all’interno del nucleo del pallone, e all’interno dei tronchi di piramide, sulla base minore. Un secondo magnete, poi, sempre all’interno dei tronchi ma sulla base maggiore (più esterna), ne permette l’estrazione attraverso un magnete ausiliare. Ne viene fuori dunque un leggero, dinamico e funzionale pallone policromo che salta all’attenzione di chiunque per il suo aspetto giocoso.

Il secondo progetto, di Federica Bonello, è senza dubbio il più coerente al sistema NCS. Il cerchio cromatico, ovvero la sezione orizzontale che taglia nel mezzo lo spazio dei colori, è il fulcro del progetto: questo è estruso nello spazio e trasformato in cilindro, suddiviso in cinque livelli. Nel livello centrale sono collocati i colori a chiarezza media; in alto i colori medio-chiari, chiari; mentre in basso i colori medio-scuri, scuri. In ogni livello sono collocati 40 cunei colorati, numero pari ai piani di tinta del cerchio cromatico. In ogni cuneo dall’esterno verso l'interno diminuisce la saturazione della tinta raggiungendo la scala dei grigi; così ogni cuneo ha 3 nuance. In ogni livello si trovano 120 colori; in tutto l’oggetto, 600. Ogni cuneo è estraibile in modo tale da poter essere osservato da vicino e confrontato con tutti gli altri. L'oggetto prende il nome di Faro. Il faro è da sempre la più importante struttura capace di emettere segnali luminosi di aiuto e di riferimento nella navigazione; così quest’oggetto, strumento tecnico, emettendo luce, potrà diventare strumento cardine di aiuto nella navigazione nel mare magnum dei colori.

L’ultimo progetto, ideato e realizzato dall’allieva Chiara La Rosa, si presenta imponente e insieme giocoso. Nella progettazione del dispositivo è stata presa in considerazione una forma pura come il cubo, in modo da sintetizzare in un oggetto semplice la complessità dei colori. Pensando a un cubo colorato, il riferimento al cubo di Rubik è inevitabile: uno dei più intriganti oggetti-icona del secolo scorso. Ed è proprio questo che vediamo quando, entrati in un colorificio, lo troviamo esposto sul bancone: un grande cubo di Rubik che – coloratissimo – ci attrae nella speranza di poterci giocare. Ma il gioco non è quello che tutti noi conosciamo: la soluzione sta al suo interno. Il cubo è apribile e suddiviso in cinque reparti estraibili, ciascuno dei quali contiene 25 mini-kubik, che ruotano intorno a un perno centrale, permettendo al cliente di orientarsi nella scelta del colore. Infatti, i cubetti rispondono coerentemente alla distribuzione dello spazio NCS, colorati in modo da rispettare i tre parametri richiesti: tinta, saturazione e chiarezza. Il progetto contiene complessivamente 500 colori.

La progettazione di tali dispositivi, inoltre, è stata fondamentale per arricchire la conoscenza di quel connubio che da più di un secolo si è instaurato tra architettura e colore. Il movimento olandese De Stijl fu il primo, attraverso il pittore-architetto Theo van Doesburg, a teorizzare l’uso strutturale del colore in architettura. Importanti sono le rappresentazioni assonometriche in cui grazie al colore viene evidenziato lo spazio con tinte primarie vivaci. Famosissima è a questo proposito la casa Schroeder progettata da Gerrit Rietveld, in cui vengono manifestati tali principi(1). Negli stessi anni lavora anche Le Corbusier il quale, invece, non si riconosce nell’astrazione e geometrizzazione del colore: rivendica piuttosto una posizione che si può definire più tradizionalista. Nel 1931 produce un campione di colore per una ditta svizzera al seguito del quale pubblicherà un libro chiamato Polychromie architecturale al cui interno troviamo le famose tastiere di colore, divise in 12 schede che rappresentano diverse ambientazioni. I colori scelti da Le Corbusier sono 43. Così – dice Le Corbusier - come i tasti di un pianoforte, un numero limitato di colori dovrebbe produrre un’infinità di dipinti(2). E poi ancora possiamo citare personaggi come Bruno Taut che, partendo da un uso istintivo del colore, diede vita a realizzazioni architettoniche policrome con l’intento di migliorare la qualità della vita(3). L’uso del colore applicato alle costruzioni, oltre a essere un mezzo decorativo di minor costo rispetto ad altri materiali quali pietra e gesso, venne esaltato come originario mezzo espressivo in grado di infondere gioia e benessere nell’osservatore ed inoltre, essendo visibile a tutti, assunse anche il significato di internazionalità. Così troviamo in Messico Barragàn, che fa un largo uso di colori accesi, presi dalla tradizione popolare messicana a cui è molto legato(4). E poi ancora Aldo Rossi, con i suoi disegni policromati che sembrano riprendere quelli dei quadri di De Chirico. E per finire prendiamo in considerazione l’opera significativa di un architetto contemporaneo: Jean Nouveal e il km rosso. Ogni architettura è sempre stata pensata e realizzata tenendo in considerazione l’aspetto cromatico, una presenza impossibile da evitare poiché facente parte della vita di ciascun individuo. D’altra parte, lo dice anche il grande maestro del Bauhaus Johannes Itten: “Cosa sarebbe il mondo senza colori? Solo un universo infelice di ombre”(5) .

(1) Cfr. Bruno Zevi, Poetica dell'architettura neoplastica, Einaudi, Torino 1974.
(2) Cfr. Allen H. Brooks, Le Corbusier 1887-1965, Electa, Milano 1987.
(3) Cfr. Winfred Nerdinger, Bruno Taut 1882-1938, Electa, Milano 2001.
(4) Cfr. Federica Zanco, Luis Barragan: The Quiet Revolution, Skira, Milano, 2001.
(5) Cfr. Johannes Itten, Arte del colore. Esperienza soggettiva e conoscenza oggettiva come vie per l'arte, Il Saggiatore, Milano 1961

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