di Rita Rao
L’impiego del colore negli esterni è mutato nel tempo, in relazione ai materiali utilizzati e all’altalenante livello di idiosincrasia al colore.
Fino al XIX secolo, ovvero sino all’avvento della sintesi chimica dei colori, le sostanze coloranti erano ottenute da materie prime naturali estratte da animali, vegetali, minerali e fossili. Ciò comportava l’utilizzo di colori derivanti principalmente dalle terre e dai materiali dei luoghi in cui venivano ricavati; la gamma era ristretta e poco resistente nel tempo.
I primi pigmenti usati per la pittura parietale furono le ocre e il carbone risalenti a 15 mila anni fa, al Paleolitico Superiore.
Nell’antichità l’impiego del colore ha avuto un ruolo fondamentale, oggi poco visibile per via della scarsa resistenza dei materiali. Sugli edifici dell’antico Egitto, del periodo Greco–Romano, del Medioevo, si è riscontrato un diffuso impiego di pigmenti dai colori decisi.
Il ‘300 apre un periodo di distaccamento dal colore per gli esterni, mentre nel ‘600 e nel ‘700 torna ad affermarsi la facciata policroma, decorata con intarsi e dorature.
Tra il ‘700 e l’’800 il trionfo dell’arte Neoclassica in architettura porta alla predominanza del candore della pietra e dei marmi. L’avversione al colore continua fino alla fine del secolo, quando con lo sviluppo dell’Art Nouveau l’uso delle tinte torna ad essere presente ma in modo cauto, anticipando i tratti tipici del Movimento Moderno nel settore dell’architettura.
All’inizio del ‘900 la comparsa del Neoplasticismo, in concomitanza con la pubblicazione del manifesto De Stijl, porta alla combinazione organica dell’architettura con la pittura, in cui i colori primari e gli elementi ortogonali fanno da padroni grazie ad esponenti di spicco quali Mondrian e Ritveld.
Negli anni Trenta si affermò il Movimento Moderno nelle sue frange più razionaliste e successivamente funzionaliste, di cui si fece promotore Le Corbusier. Quest’ultimo, dopo un iniziale periodo di riconosciuta rilevanza del colore, ha affermato l’importanza dell’uso esclusivo del bianco, cui si è ispirato anche Richard Meier.
Un accenno distinto merita Bruno Taut, che incarna il paradosso di un architetto pienamente funzionalista ma non moderno, come emerge anche dalla sua applicazione controllata e ragionata del colore negli esterni.
Dalla metà del secolo scorso la propensione al colore rinasce e ha svariate funzioni d’impiego: contrastare o assecondare l’architettura locale, esaltare o mimetizzare il materiale della costruzione, valorizzare o manipolare i volumi, o ancora, sottolineare i tratti caratteristici della costruzione, come nel caso del Centre Pompidou di Parigi.
Il colore e gli architetti
Gerrit Rietveld:
“Il colore ordina le superfici e ne determina anche lo spazio”
“Il colore unisce funzionalmente e formalmente elementi e conseguentemente produce movimento nello spazio”
“Il colore definisce funzioni e materiali”
“Il colore rende visibile la spazialità”
“Il colore produce spazialità ed atmosfera”
Bruno Taut:
“Con il colore, allorché viene messo in rapporto pieno, diretto e senza nessun tipo di artificio con la luce, una struttura può essere riempita di vita reale”
“Il colore diviene quindi una componente della luce medesima, in quanto il colore è luce”